BENCHE, per dimostrarsi grato riconoscitore della virtù già si credesse il mondo non hauer più segnalato dono deIla lode, e che perciò costumasse con pubblici onori celebrar quegli, che nati subblimi, e di valore corredati, lasciauano morendo non meno sospirata la morte, che ammirata la vita loro; non è però, che più altamente ricercando, egli non troui oggi, per guiderdonare l’opere belle, cosa di pregio, e di ricompensa maggiore, Questa è per certo, non la fama, che dalle memorie degl’huomini può dileguarsi col'tempo, ma quella affettuosa voluntà, che nata da vera Religione, indirizzando principalmente la gloria à Dio, procura felice vita nell’eternità de secoli all’anima per l’immortalità già creata. Quindi s’ introdussero dalla Cristiana pietà i suntuosi apparati, e l’esteriori cerimonie, acciochè gl’ huomini raccogliendosi in loro medesimi, e ne sacti loughi per tale occasioni adunandosi, concorrescero maggiormente à pregare la Diuina Maestà, che nelle sue mani riceuesse chi già caramente in se stesso la virtù raccolse, e di queste grandi e pubbliche dimostrazoni d’amore, sono ancora degni coloro, che discesi da chiarissimi natali, ancor che breue tempo fra noi dimorassero, mostrarono non dimeno à qual segno si sarebbono condotti, se la morte non gli hauesse preoccupato il sentiero. Ora se mai conueniuasi con pietoso congedo accomiatare alcuno, che dal nostro caduco all’eterno viuere incamminato si fusse ; ben doueuas’ egli alla gloriosa memoria de DON FRANCESCO Medici, Principe, in cui la chiarezza del sangue veniva superata dalla grandezza dell’animo, l’animo dalla crescente virtù, e la virtù accrescuta dall’innumerabili speranze; Che se la perdita di quelle cose, aIlora maggiormente ne affligge, ch’il desiderio I’abbraccia, e la contraria disposizione le ritoglie, qual ragione vorrà, che dolere non ci dobbiamo in vedendo spegnersi vno splendore, che poco pur dianzi nato accendeua negl’ animi eccessiuo desiderio, di mitarlo piu lungamente Danno, e duolo ha prouaro per la mortedi questo Principe. L’vniuersale, & non s’è contenuto di palesarlo con euidentissimi segni; ma sopr’ogn’altro come piu congiunta parte l’ha sentito Il Serenisisimo Gran Duca COSIMO suo Fratello La Serenissima CHRISTIANA di Loreno sua madre La Serenissima ARCHIDVCHESSA, e tutta la Serenissima Casa e conoscendo benissimo, che quel doloroso afletto loro non poteua sedarsi con antidoto migliore, che del rimembrare la ben trapassata vita, dalla quale nasce la speranza del premio apparecchiato à buoni nella futura; diliberarono perciò con pubbliche Esequie, non solo rauuiuare l’onorate qualità del Corpo, ma somministrare all’Anima con sacrifizij & orazioni quegli aiuti, che s’ella fussi trattenuta Oue l’vmano spitito si purga, tanto vagliono a condurla speditamente al Cielo: & si come della Pietà, Constanza, & Magnificenza delle SS. AA. loro, esse medesime diedero nobilissimo testtmonio, nell’infermità, nella morte, & negli onori intorno al defunto Principe, cosi non sarà forse discaro à chi legge l’intenderne qualche particolare, però auanti che piu oltre si proceda, è da sapersi Che il Principe Don Francesco tornato dalla Santissima casa di Loreto, oue per affetto di pura, e santa deuozione era andato incognito, e talmente vmile, che per il viaggio soggiacque tal’ora à gl’incomodi comuni alle priuate persone, si ridusse il Giouedi Santo nel la Città di Pisa oue il Gran Duca con tutta la Corte dimoraua: iui si scoperse indisposto di vna semplice febbre, che forse molto prima l’haueua furtiuamente assalito, ma la generosità la giouenutù, l’ardore di condursi quanto prima in Francia, oue à seruire la Maestà della Christianissima Regina ne motiui, e turbulenze di quel Regno le AA. SS. hauenuan disegnato inuiarlo, glie la faceuano dissimulare, o non pienamente conoscere, ma finalmente agumentando forze il malore, fu constretto à posarsi in letto con manifesta febbre terzana doppia, ch’in vltimo conuertitasi in maligna, non giouando l’applicazione d’ogni più esquisito medicamento, solamente la speranza degl’aiuti celesti conobbe auanzare; per lo che fù marauigliosa la copia delle spirituali, intercessioni, che per la salute di questo Principe furono in gran parte da proprio motiuo della gente offerte à Dio si che può dirsi non essere rimasta nello stato Città dalla dominante, e maggiore, alla dependente, e minore, non Castello, non Villa, non Chiesa curata, oue non si sieno fatte, e più volte reiterate orazioni solenni, con altre infinite opere di Pietà, e Religione. Fecero l’istesso à conueneuol ragguaglioi luoghi circonvicini, e fra essi fù di celebre, e grata memoria la Città di Lucca, che vniversalmente per ordini pubblici fece processioni, e rinouò più volte all Chiesa della Miracolsa Maddona ed altrouve l’efficacissime orazioni delle Quarantore, & altrettano se non più memoranda, e pietosa fu l’azione dell’Ill. Sig. Cardinal Borromeo, che nella sua Cathedrale di Milano non contento di far fare al suo Clero, & al suo popolo simili preghiere, egli stesso alla Tomba del Glorioso San Carlo suo parente, Antecessore e simile in terra, volle celebrate il sacrifizio della Messa, ed esporre alle feruenti; e continuate orazioni il Santissimo Sacremento. Il medesimo, e con eguale ardore di pietà fece l’Illuss. Sig. Cardinale di Araceli Vescouo di Loreto, celebrando egli stesso, & di sua mano ponendo l’Orazione delle Quarantore dentro alla Santissima Casa. Da tanti supplicata la diuina bontà, è ben da credere, che quello si compiacesse di concedere, che piu all’Eterna salute di questo amato Principe giudicò conuenirsi, & hauendo egli molti giorni prima con ardenti preghiere chiesto grazia alla Santissima Vergine, che qual’ora alcuno di lor fratelli douesse morire, la sua in aumento e saluezza dell’altrui vita se ne passasse, la magnanima offerta come risonante nell’orecchie di Dio con quella pièta, che il cuore la porse, cosi venne parimente accettata, e gradita; pero il quadragesimo ottauo, giorno, che fu alli XVII. di Maggio, send’egli gia tutto rassegnato in Dio, e della materna benedizione, e d’ogni estremo Sacramento fortificato, piacque a S.D. Maestà di richiamar quell’anima all’eterno riposo.
Qual fusse il dolore Sereniss. Gran Duca, della Sereniss. Archiduchessa, e di tutti questi Eccell. Principi, e della Sereniss. Madre in particulare, sarà piu facile col’silenzio accennarlo, che descriuerlo. Questo solo non è da tacere, che Madama Sereniss. Gran Duchessa in quel punto, che fù auuisata del’doloroso scioglimento, fermatasi intrepidamente, & in poche lacrime ristretto il gran tributo, che l’vmanità doueua à si graue colpo, ringraziò vmilmente la Maestà Diuina di cosi cordogliosa visita, E pregando, che la confermasse in deuota pazienza, e riceuesse quell’anima nel suo Beatissimo seno, la supplicaua, a compensarle questo graue danno con la conseruazione, prosperità degli altri figliuoli; Poi con marauiglioso vigore datasi alla spedizione, & all’accomadamento di quanto occoreuà, volle subito vedere tutti i seruitori di Sua Eccell. ad’vno ad’vno, & ad’ onta del dolore, che le serraua il petto, e de loro sigulti, e pianti, gli parlò con tant’animo, e gli racconsolò con tanta fermezza, che fece stupire fino a se medesima d’hauer posluto farsi cosi gagliarda resistenza. Il concetto fù, che tutti si confermassero con lei nell’voler di Dio, & si consolassero nel dolore di lei ch’era madre, & perdeua gioia irrecuperabile, ma restaua à loro il Gran Duca ed ella, che non li lascerebbono punto conoscer’la perdita; e ben furono complite poco doppo con esemplari effetti queste veraci promesse hauendo S.A.S. con pubblico decreto dichiarato di volere al suo seruizio con i medesimi onori, & emolumenti, tutti coloro, che al Principe Don Francesco, seruirono: Cosi altamente consolati quegli afflitti, per leuarsi dall’occasioni d’altri pianti, e visite, andarono l’AA.SS. alla villa dell’Ambrogiana, per di li ricondursi a Firenze. Il Corpo fu pianto, e visitato dalla nobilità, e popolo di Pisa, e con l’istesso deuoto affetto, che nel progresso dell’infirmità quella Città discoperse, venne funeralmente onorato, fin che essendosi tutta la Corte vestita a bruno, la sera delli ventidue ne seguì la partenza, sotto la cura del Marchese Capizucchi Generale della Caualleria di S. A. S. e con quella Pompa di Religione, che si giudicò necessaria al viaggio, & alla grandezza del Principe, & in passando non restò luogo, che a suo potere non palesasse quanto era comune il dolore, & particolare in ciascheduno l’amore, & la deuozione Intanto furono da S. A. S. deputati tre Senatori, cioè Donato, e Niccolò dell’ Antella, è il Cavalier Vincenzio Giugni, perche in Firenze con la debita onoreuolezza si riceuesse il Corpo. Questi con la solita prudenza Ioro diuisato prestamente quanto occorreua, ingiunsero alla buona diligenza di Iacopo de Medici Maiordomo di S. A. e Bali del Delfinato, Ia cura di far che s’effettuasse con ordine la pietosa cerimonia, perciò la Domenica seguente delli 25. ella si vide passare in questa maniera.
Eransi ragunati i gentilhuomini della Corte, e tutti i nobili di Firenze vestiti a bruno alla porta a S. Friano, quando comparue dalla Chiesa di S. Lorenzo di nero, e ricco fregio adornata, La Sacrosanta Croce, che fermatasi auanti la Porta in atto di voIgersi onde partita s’era, fu da cento huomini tutti di corone ricoperti (gia nella Città preparati) circondata di torcie, mentre alcune Chinee del S. Principe, ammantate di grandissime coperte di velluto nero, cominciarono con lento passo ad auuiarsi ; & all’ vn’ ora di notte l’ordinanza venuta di Pisa, col Corpo (e già fermatasi la s ra auanti à Monticelli Monistero un quarto di miglio lontano dalla Città) e quella di Firenze in vn medesimo tempo si mosse, caualcando (per guidare ordinatamente la pompa) Cosimo dell’Antella, Francesco Arrighi, e Gio: Batista Giusti Caualieri di Santo Stefano. Cosi precedendo la sacra insegna come quella, che è della della Chiesa, oue questi Principi per antico, e glorioso titolo di fondazione sono sepultuarij, veniua seguitata da lungo ordine di Preti della Parrochia di Santa Felicita, dal Capitolo, e Canonici di S. Lorenzo, & dal Capitolo, e Canonici della MetropoIitana, con tanto bell’ ordine, che distesi appena si congiunse all’estremo di questi il principio dell’ ordinanza di Monticelli, e ritiratosi i Sacerdoti, che d’ogni reIgione da Pisa a qui salmeggiando sempre erano venuti, fu levato da i proprij Gentilhuomini di s.Eccellenza il Corpo di su la lettiga, & in altro ricco feretro coperto di velluto nero è d’oro soprapposto, & qui facendo ala i portatori delle torce di fuori, che al numero d’altri cento ascendeuano, fu portato per la Città con bellisima, ordinanza di mute sempre di gentilhuomini, e Caualieri, seguitati da tutta la nobiltà con torce, che arriuauano a numero infinito, accompagnando i sospiri del popolo (con marauigliosa frequenza, e concorso) il funebre suono delle Campane, che da ogni torre sentiuasi; Et per vltimo con soprauesti proportionate all’ occasione di tanto dolore, veniua la compagnia de Caualleggieri di Pisa sotto la condotta del Caualier Piero Capponi lor Capitano, anch’egli riccamente sopra vn bellissimo corsiero di funesti ornamenti guernito. Giunto il Corpo alla Chiesa di S. Lorenzo in mezzo ad vno apparato di neri panni sopra vn nobil palco fu collocato, e doppo che i Sacerdoti di quella collegiata l’eterna requie gli cantarono par titosi ogni gente, diedesi principio a fabbricare vna mole piu alta, con tre gradi in forma di piramide, adornata di cantonate architraui, cornici, e fregi, finiti di porfido, c di affricano ; sopra questo il giorno seguente fu esposta la cassa oue il corpo si rinchiudeua acciò che il popolo tutto si sodisfacesse di piangerlo, e benedirlo, ma come sodisfar si poteua ad vna infinità di gente addolorata in estremo in cosi breue spazio di tempo? Fù dunque tanto più necessario affrettare iI preparamento delle Esequie, però soprauenendo la sera, e riposto il Corpo allato al sepolcro del Gran Duca FERDINANDO suo Padre sempre felicissima ricordanza, diliberarono L'AA. SS. di complire questo pietoso offizio, & perciò datone la cura, e sopra intendenza Generale à Donato, e Niccolo dell’AnteIla, Gentilhuomini, e Seuatori, il cui valore in ogni piu sourano maneggio è stato sempre riconosciuto, commessero il pensiero dell’inuenzione. A.
Francesco Medeci Caualiere.
Piero Vettori.
Tommaso Popoleschi, &
Alessandro Adimari.
Questi desiderosi di corrispondere alla magnanimità di tanti Principi per quanto fù lor possbile, nel breue spazio di pochi giorni, nella Chiesa di S. Lorenzo il di 17. di Giugno, fatto per ciò con pubblico Bando pruilegiato, con l’opera di Giulio Parigi famoso Architetto de nostri tempi, cosi ne fecero veder l’efetto.
Appariua la facciata di fuora tutta coperta di neri panni, se non quanto vno imbasamento di finto diaspro granito appiè d’essa, mettendo in mezzo tre Porte che vi sono si faceua sostegnio à otto pilastri della medesima pietra, d’ordine Dorico, dua de quali in su le cantonate stauano, gl’altri con interualli eguali, tra le Porte, che pur dell’istesso diaspro haueuano stipiti, architraui, e frontespizio, erano compartiti; sopraquesti posaua vna gran cornice, che fra se, el’architraue serraua vn bello, e spazioso fregio di porfido, e sopra i sodi si reggeuano quattro gran termini, che pur di granito principiando, forniuano in spauentose Morti, & erano cosi alte, che sopra di loro sosteneuano vn altra architraue base del frontespizio della Chiesa, nel quale in mezzo d’vna nicchia grandissima, appariua vna morte, che in atto superbo in vn prato di fiori, porpore, scetri, e diademi reali calpestava; fiero spettacolo in vero, ma bene da trame quella considerazione, che per concetto in questo apparato si propose cioè.
Che la Morte, percotendo con egual colpo ciascuno, era con tutto ciò piu formidabile, poiche atterrando il Principe Don-Francesco, non gli affrenaua la mano, merito di Virtù, rispetto di grandezza, o pietà di anni immaturi. Accresecuano il terrore alcuni rilieui di Morti che sopra il frontespizio, e gradi deIla facciata s’aIzauano con atti si fieri, che pareua quasi, che del fatto minacciando, si glorianssero, e perciò come vincitore suole spiegare con fasto le conquistare insegne, nel mezzo del la facciata sopra alla cornice, e porta maggiore, due altre Morti distendeuano vna gran tela, in che si vedeua l’Arme della Serenissima Casa de Medici, con la corona del Principato, & a canto a loro negli sparij, che restauano sopra le due porti minori, additauano l’impresa, che viuendo si compiacque d’alzare il Principe, dipinta in due gran targhe, la quale è vn Giglio, che sopra il suo Verde s’auanza col motto.
PROCERO EX VIRIDI MAGIS. Quasi, che le crudeli dicessero, Ecco pur nostra preda, chi dall’ alto fusto de suoi natali era per farsi maggiorè. Ma sopra tutto destauano compassioneuole affetto quattro Statue alte sei braccia, che sopra l’imbasamento primo in quattro spazij, che vi sono, tra porta, e porta, rifedeuano.
La prima a man’destra dell’entrata principale ,al corno di douizia, & al ramo d’oliuo, che haueua nelle mani , si conosceua esser la Pace; la quale come che mancato le fusse vn considente mantenitore in mezzo al tranquillo stato, che mercè del Serenissimo nostro ella in queste parti si gode, con la sotto posta cartella, e sclamaua.
HEV ABLATVS EST DVM SEDEBAT
POPVLVS IN PVLCHRITVDINE PACIS,
IN TABERNACVLIS FIDVCIAE ET IN
REQVIE OPVLENTA.
Certo, e sicuro frutto della Pace, oltre à moltì altri beni è l’abbondanza, nutrice d’ogni bell’arte, e ristoro dell’human, genere; e questa risedendole appresso con vna Cesta piena di varietà di biade, e frutti, seguitando il giusto lamento della sua genitrice diceua, in quella parte gl’era troncata la speranza.
VBI ABSQVE VLLA PENVRIA
COMEDEREMVS PANEM NOSTRVM ET
RERVM OMNIVM ABVNDANTIA
PERFRVEREMVR.
Dal l’altra banda con imbracciato scudo, e con impugnata spada si vedeua vna Donna non meno dolente, che fiera, figurata per la Guerra, la quale grande speranze hauendo anch’ ella concepute del’valor di questo Principe, lacrimauane il mancamento con le parole.
DISSIPATVS EST ARCVS BELLI PRINCEPS
ET DVX AD BELLA.
Felice parto di questa magnanima difenditrice di regni, e genitrice di fama si vedeua appresso nell’altro spazio esserla Vittoria, riconoscinta oltre agl’omeri alati, alla corona d’alloro, & alla palma; perchè bello è il vinecre quando giusta è l'impresa, e giusta è l’impresa quando s’indirizza all’onore di Dio, i protettori del quale egli medesimo fauorisce, piangeua ella cosi gl’abbattuti fondamenti della giusta sua credeza & il suono delle glorie, che per mano di sua Eccellenza era per vnirsi alla fama del Serenissimo Gran Duca, dicendo
DOMINVS DEVS CVM EO
ERAT, ET CLANGOR VICTORIAE REGIS
IN ILLO.
Mossi da questa prospettiua i riguardanti, tal pensiero mi cred’io, che gli scendesse nel cuore; O quant’è vero che non è cosa stabile sotto la Luna, e che il tutto in breue corso trapassa e solleuando gl’occhi, il concetto loro leggeuano espresso in vna gran cartella, che dal fregio della maggior porta pendeua
OMNIA TEMPVS HABENT, ET
SVIS SPATIIS TRANSEVNT VNIVERSA
SVB COELO.
Dal che maggiormente compunti s’affrettauano d’entrar nel tempio, a considerar cose, che quel’interno risentimento accrescessero, ne dall’euento veniua ingannata la speranza loro poi che Morti, imprese, figure piangenti, funesti apparati, ossature, e scheletri d’ogni intorno vi si mirauano.
La cagione di tanta mestizia veniua dichiarata da vna gran cartella, che sopra Ia porta principale & appiè delle tre naui, (che due minori da banda, & la del mezzo altrettanto maggiore forman la Chiesa) per di dentro opposta all’altar grande cosi si leggeua.
FRANCISCO
MEDICI FERDINANDI MAGNI DVCIS
ETRVRIAE FILIO COSMI I.
MAGNI DVCIS NEPOTI.
MEDICEORVM PRINCIPVM GLORIAE, E
PATERNA STIRPE HAEREDI, E MATERNO GENERE LOTHARINGIAE DVCVM CHRISTIANISSIMOR VM QVE GALLIARVM REGVM, DECORIS, ET SPLENDORIS CONSORTI, PRINCIPI OPTIMO, PRVDENTI, FORTI, MAGNANIMO, CATHOLICAE RELIGIONIS STVDIO IN AVDITAQVE MORVM INTEGRITATE INSIGNI, ET PACIS BELLIQVE ARTIBVS
IN TENERA AET ATE CLARISSIMO. QVI CVM MAGNIS INITIIS AD SVMMAN GLORIAM NON VSITATA RATIONE TENDENS, OMNIVM SIBI ANIMOS MVNIFICENTIA, BENIGNITATE, MANSVETVDINE, HVMANITATE, CLEMENTIA DEVINXISSET. DVM GENERIS FELICITATEM ETRVSCORVM QVE PRINCIPVM SPLENDOREM IL LVSTRATVRVS, ATQVE AVCTVRVS SPERARETVR ANNVM VIX VIGESIMVM PRIMVM INGRESSVS ACERBA, ET INOPINATA MORTE SVBLATVS EST.
COSMVS II. FRATER MAGNVS DVX
ETRVRIAE IIII.
ET CHRISTIANA LOTHARINGIA MATER
IN SVl AMORIS MONVMENTVM, ET ILLIVS
MERITORVM TESTIMONIVM POSTREMVM
HOC EXEQVIARVM MVNVS
PERSOLVVNT.
Corrispondeuano a questa Porta maggiore nella prospettiua l’altre minori, ma non gia nel concetto erano conformi; perchè queste sopra gl’archi loro in due gran CarteIle teneuano due morti, presi dalla sagra scrittura per documento de riguardanti; Vno à significare quanto sia poco il nostro sapere, & incerta la nostra prouidenza, pareua, che dir ne voIesse. O voì che rimirate nell’oscurità di questo apparato vagliaui il bene operare, perchè è trauaglio infinito l’ incertezza del’passato, & il non sa persi, doue, o quando Morte ferisce.
MVLTA HOMINIS AFFLICTIO
QVIA IGNORAT PRAETERlTA, ET FVTVRA NVLLO SCIRE POTEST NVNTIO.
L’altro veniua a soggiungere, che per operar bene, non ci è stimolo più viuo del continuo pensiero della morte, però ciascuno si scampasse nel cuore cosi salutifera dottrina, perche nel estremo punto si conoscerà esser vanità tutto quello, che di qua rimane.
MEMINISSE DEBET HOMO
TEMPORIS TENEBROSI, ET DIERVM MVLTORVM QVI CVM VENERINT VANITATIS ARGVENTVR PRAETERITA.
Nel mezzo di questa interiore facciata sopravn ballatoio, che v’è di marmi staua vna grand’Arme del Principe, sostenuta, ò più tosto come pareua depredata da due Morti, e d’ogni intorno pendeuano panni e gruppi, che lascoperta parete adornauano. A basso in terra poi, appoggiate a due pilastri, che dauano principio all’ordine di quattordici colonne, sette par banda inalzantesi per la naue del mezzo, stauano due gran colossi di Morti sopra basi di affricano, e granito, le quali senza motti, ma con varie militari insegne, & strumenti rotti, accennauano che si guardasse nelle 24. Morti, che sopra diferenti basi ma altamente s’appoggianano ad altrettanti pilastri (che per le due naui da banda, e per la tra versa che l’incrocicchià, spartiscono le cappelle) che queste ben haurebbono dimostrato, qual sia la condizione humana, & insegnato con verace parlare, di qual colpo ineuitabile habbino armata la mano, e che ne di giouentù, ne d’altro suo pregio deve giamai considarsi l’huomo. Era scritto nella base d'vna.
IN OMNES HOMINES MORS PERTRANSIT
Sotto vn altra.
MODICVM CORRVPTIBILE VITAE TEMPVS
altra diceua.
DIES HOMINIS SICVT VMBRA DECLINANT
vn altra.
HOMO TAMQVAM OLERA HERBARVM CITO DECIDET.
& altra.
AD NIHILVM DEVENIENS TAMQVAM AQVA DECVRRENS.
Con questi, e simili concetti atterriuano, & ammaestrauano in vn tempo medesimo gl’animi altrui solleuando il pensiero di ciascuno à considerare, che poi, che si breue è iI corso di questa vita, quegli è felice che mentre il giorno splende proccura d’abilitarsi à cose, che almeno seco subitamente non s’estinguino come benissimo haueua fatto il Principe Don Francesco, & riguardando nelle due naui minori tra gli spatij, che fra le suddette morti rimaneuano, vedeuasi vn ordine di figure, e d’imprese successiuamente otto per banda, che manifestauano quanto sua Eccellenza con Eroica virtù si fusse preparato alla gloria. E per che è solito in questa parte della Chiesa spiegarsi con pitture fatti principali di quei grandi, à cui la funebre onoreuolezza è ordinata, soprauuenendo i caldi il breue tempo constrinse a non se guitar l’vso, perche ne quadri entrando molte figure, era dificile, che in pochi giorni a bene si conducessro, però cosa altra nuoua inuenzione si restrinsero le piu segnalate qualità del Principe come in tanti Emblemi, in aIcuni grandi ornamenti, ne quali con vna sola figura, e con vna breue cartella s’accennaua il pensiero. Questo era in particulare far mostra di quelle virtuose prerogatiue, che proprie essendo di Principe guerriero, in S. Eccellenza si riconobbero, & per auuiuar gl’ingegni alla considerazione della verità, e punger gli animi con quaIche viuezza, parue bene il tramezzarle con altrettante imprese, acciochè doppiamente aiutato il concetto, maggiori intelligenza sene cauasse. L’ordine di queste cose cominciaua dalla porta minore a man destra, forniua da man sinistra, arriuando all’altra scorrendo solo per le due naui minori.
LA Natura ha con beIlissima prouidenza stampato nel’huomo alcune particulari inclinazioni, le quaIi se non sono poi dall’altrui forza violentate, come seme alla terra proporzionato fanno marauigliosa riuscita.
Genio particulare ebbe il Principe Don Francesco al’glorioso mestiero dell’Armi, & per non torcere la sua natur al volontà & l,ereditario pregio che da maggiori discende, li fù aggiunta vn ottima educazione, con laquale potesse far acquisto di tutto quello, onde simile studio si perfeziona. E ben che quattro si dichino i requisiti principali che nel supremo Capo della milizia concorrer deuano, cioè, Scienza Militare, Autorità, Felicità, e Virtù, non essendo altro la Virtù ch’vno abbellimento d'alcune rare qualità che fregiano l’animo nostro, quegli ornamenti che di più nel Generale degl’Escerciti si ammirano sono per avventura; in Magnanimità, la Prouidenza, la Vigilanza, la Fortezza, & la Prudenza: Vedeuasi adunque nel primo luogo La SCIENZA Militare necessaria cognizione, che sopra vanza ogn’altra, sendo in lei riposta la difesa della vita, e dell’onore di tutte le cose, ella per ordinario si apprende con l'vso, e con l’esperienza come si vide in Pompeo, ma si può acquistare ancora con la lettura dell’istorie, e con l’ascoltare i percetti militari come successe a Lucullo, Questa douuta qualità alla professione del Principe Don Francesco, e da lui con ogni studio ricercata, appariva in vna donna, a cui d’intorno stauano moltitudini d’armi, e diuersi apparati da guerra, ed ella volta al Cielo, osseruaua nel sereno della notte, il volare delle cicogne, & le glorie del Principe con l’appresso inscrizione dimostraua,
MILITIAE STVDIA BELLICARVM QVE RERVM SEDVLO COMPARATA COGNITIO AD OMNIVM ADMIRATIONEM EVM SI NON EX RERVM VSV POMPEIVM, AT E PRAECLARA SCIENTIA LVCVLLVM ITALIAE OSTENTABAT.
QVegli che vigoroso ha l’animo per l’abito della Virtù può intraprendere audacemente, ogni impresa, e se pur sembra, che troppo intempestiuo aIle volte si muoua, erra chi talmente giudica, perche il naturaI valore del sangue, e l’acquistata cognizione della cose, lo possono felicemente portare, onde per esplicar l’ardore ingenito, che accendenua il Principe à cose grandi, pendeua nel secondo luogo, come neIl’ appresso figura apparisce, vn in presa d’vn Aquila, che non bene pennuta ancora vsciua del nidio, spinta solamente dalla sua naturalegenerosità col motto.
TANTIS ANIMI NATALIBVS AEQVI
QVANTO sia di momento la Maestà, che altro non importa, che la grandezza, e la suprema AVTORITA del Principe lo dimostra l’ hauer ella sola bene spesso quietato mouimenti, & anichilato senza altro varij furori de gl’animi. Masinissa per questa inuedendo Scipione l’ammirò maggiormente, con questa i Legati Romani dinanzi à Rè straniero ardirono d’imporre breue termine alla risposta: Possette l’Autorità ne casi avversi souuenire cosi quei che la possedeuano, che Mario, e Pirro dall’estremo pericolo della vita sottrasse. Come splendesse questa real degnità nel Principe Don-Francesco, lo manifestaua vna Donna venerabile con ricchi fregi di gioie, che sedente nel terzo compartimento, vna mano teneua sopra vno scetro, l’altra distesa in atto di comandare, accennando con questa inscrizione come S E. gia preparauasi col trapassar l’altri d’aggrandirla in se stesso.
QVIBVS VIRTVTIBVS PARTAM
SIBI AB ORIGINE AVCTORITATEM INFERIOREM IAM REDDERET IISDEM RELIQVORVM IMPERATORVM GLORIAM EX AVCTORITATE NATAM DIMINVERE PARABAT.
PErueniua per antica ragione l’onore à Don Francesco non solo di comandare in Guerra, como nel fior de gil anni i Generoso Bisauolo suo fatto haueua, ma d’esser accora per Autorità ragguardeuole, simile al Sereniss. suo Padre, che d’hauer con la sola Maestà imperato (come scoperse la sua chiarissima impresa del Rè dell’ Api) felicemente si gloriaua; però nel quarto spazio scorgeuasi vn’ impresa nelle quale secondo stà qui a basso, era dipinto vn Bastone da Generale puro, e semplice legno, ma di tanta riverenza adornato, che tutto l’Esercito segl’inchina, col’motto.
HOC ATAVI MONVERE MEI.
QVEL’prospero successo dellecose, che pare ordinatamente seguiti gl’altri votì, FELICITA si nomina questa non s’acquista, ne per se nasce ma è vna ascosa, e determinata volonta di Dio, che s’accompagna congl’huomini quando alui piace, e se gloriosi, e memorabili gli rende, ne sieno testimoni Alessandro Mango, e Giulio Cesare la cui felicità ben puo esser inuidiata, ma superata non mai. Rappresentauasi vntanto bene nel Quinto vano, con vna Donna sopra trono Reale, che nella destra teneua il Caduceo, e nell’altra inbracciaua vno scudo, oue à pienevele si scorgeua vna naue, & per dimostrare qual’speranze poteuamo hauere, che il Principe gia per compagna se la fusse aggiunta, leggeuasi.
PVLCHERRIMA ETRVRTAE MEDICEORVMQVE PRINCIPVM FACTA, EO IAM ILLVSTRIORA ERANT QVOD ADMIRAREN TVR POPVLI FAVSTlS AVSPICIIS EA IN
COHANDA FORENT QVIBVS PATRANDIS SVAM FELICITATEM SOCIAM FRANCISCVS ADIVNGERET.
NON era allettato il Principe aseguire il corso di questa felicità da verunaltro premio, che dalla Gloria, e più che l’esemplo di quegli, che d’vna semplice Corona gia sopra ogn’ altro dono si contentarono, riguardaua l’azioni de suoi maggiori, & forse di chi fregiando la sua materna stirpe, volle piu tosto con la pietà celebrato il suo nome, che di Real diadema in Gierusalemme coronata la testa, e però nel sesto grado succedeua l’impresa d’vna Corona d’alloro col’motto. L’incontrare doue l’occasione lo richiegga le più difficili imprese, e l’opporsi per l’altrui salute, e difesa a qual si uoglia pericolo, è virtù della FORTEZZA con la quale, gia tanti si sono consecrati all’Eternità. Quiudi Leonida con poco numero non pauentò sostener l'infinite squadre de Persi, & per che il Principe haueua dato segno di quest’abito valoroso, staua nella settima pittura la Fortezza, figurata in vna Donna armata con asta nella destra, & nella sinistra vno scudo, dentro al quale si vedeua vn Diamante percosso rimanere illeso, e sotto si leggeva.
MARTEM BELLI COMMVNEM INFRACTO ANIMO NON REFORMIDATVRVS SVMMAM VIRTVTEM QVO MAIORA FORENT POPVLORVM DISCRIMINA CLARIORLM ESSE OSTENTATVRVS NOSCEBATVR.
EFfetto d’animo intrepido, è nella felicità non perdersi, e nell’auuersità non temere, perchè è rara cosa il vedere, che vno stia fermo, oue gli altri vacillano, e che vno si rincuori ove tutti si sbigottiscono. Non riesce !a proua se non a quegli, che di particular Fortezza armati, possono abbattendo le contrarie forze, nonmeno difender sestessi, che saluar gl’amici. Di questo valore conoscendosi poderosa S.E. ben doueuasi a gloria sue spiegar la seguent’impresa, però scorgeuasi nell ottauo rappresentamento vno scudo con vna acuta punta in mezzo, col motto.
CASVS QVICVMQVE SEQVITVR. DALLE cose presenti considerar Ie future per trarne asuo prò resoluzioni, & consigli, è cura particulare della PROVIDENZA, cosi molte volte si sono saluati i popoli, e conseruati i regni. Faccino di questo fede i dua Consoli Marco Liuio Salinatore, e Claudio Nerone, che preuedendo la venuta d’Asdrubale in Italia per vnirsi con Annibale, questi deluso, e quegli col’preuenirlo vcciso, trouarono scampo alle cose loro. La Prouidenza adunque nell’ordine IX. stava rappresentata in vna Donna vesti ad abito graue, e discinta, nella destra mano tenente vn globo, e nella sinistra vn timone, con l’orsa a i piedi, e come virtù nota à questo Principe, e che all’occasioni in S. E. si sarebbe maggiormente riconosciuta, qui appariua con iscrizione.
NE QVID TANTIS DEESSET INITIIS PROVIDENTIAE LAVDEM OBSCVRAM POTIVS TEMPORVM SECVRITATE FVISSE, QVAM DEFVISSE NEGLECTAM CVM SE PRAEBVISSET OCCASIO PRAECLARE PATEFECISSET.
QVesto virtuoso antiuedere non toglie, che le cose non seguitino, ma s’apparecchia ad incontrarle, o schiuarle con più facilità, però chi se ne troua prouuisto inalza à se medesimo ben presto con doppia Iode vere immagini di gloria. il perchè, vedeuasi nella decima spartizione vn impresa (conforme all’appresso figura) nella quale, per denotare, che il prouido giunge con prestezza di tempo à quegl’ onori, che non mai con la pigrizia, o con l’infingardaggine, si conquistano, e che il Principe voleua per strada altrettanto malageuole quanto segnalata abbeIlirsi di fama, appariua vn nobil Trofeo, inalzato secondo il costume antico sopra vna scapezzata Querce, col’motto.
NON SEGNISVS ANNIS.
VERA gloria è quella, che nasce dall’ opere virtuose, fra le quali ottiene principal grado La MAGNANIMITA, perchè ella viene da generoso disprezzo di queste cose ordinarie, per vigor d’ vn immensa grandezza d’ animo. Questa si discoperse in Ciro Rè de Persi, che gia mai non ricusò fatica, ne sfuggì pericolo per amor della lode. Conobbesi parimente nel’animo del Principe Don Francesco, e con marauiglia in varij suoi pensieri, & azioni fù considerata, e perchè se ne scorgesse ancor oggi l’imagine, fù posta nell’ XI. luogo, vna Donna con abito guerriero, scettro nella destra, & appresso vn Leone; e la cartella, che haueua à piedi così le glorie spiegaua.
MAGNVS, ATQVE EXCELSVS PRINCIPIS ANIMVS, DVM INSIGNIBVS PRIMORDIIS, INSOLITAM GLORIAM QVAERIT, INGENTEM INTERIM ADMIRATIONEM PROMERETVR.
COme la bellezza vie più ne corpi grandi risplende , cosi la Magnanimità nell’operazioni straordinarie de Principi si riconosce, & è perciò vna spontanea , e natural virtù d’incontrare con ragione quell’imprese, che benche difficili, sono però di tal qualità che dagli animi nobili sfuggir non si devono, Fù il Principe Don Francesco in varie occasioni quasi innanzi a gl’ anni conosciuto magnonimo, e perciò, come disegnato è qui sotto, rappresentauasì nel XII. partimento vn Caual’ pulledro, che entrando animosamente à guazzare vn fiume, daua ad intendere, che si prevede qual sia per riuscir più generoso Destriero, osseruando quello, che giunto al passo d’vna corrente animosamente vi salta dentro. Il motto, gia delle glorie d’Ascanio parlante, ora tirato à non disegnale esemplo diceua.
ANTE ANNOS ANIMVM
Fv non solo, perche mirasse, le vaghezze del mondo, armata di due lumi la nostra fronte. ma perche nel’tempo dell’ operare ne mostrasse il cammino, e ne guardasse da pericoli. Ora se alla difesa d’vn piccol Corpo, mentre egl’opera procurò la Natura, che sempre gl’occhi stessero aperti, quanto nelle guerre vigilar deue, chi alla cura della Milizia si troua? Certo che di niuna cosa fù più lodato Agamennone appresso Homero, che della vigilanza; ne cosa miglior di questa fù, che rendesse inuitti Alcibiade, Epaminonda, Clearco, & altri infiniti: perche se l’accuratezza e’l pensiero della custodia non regnia continuamente nel Capo principale, in vano si affaticano gl’altri. Non mancò di questa necessaria qualità il Principe, & nell’occasioni, che se li presentauano in essa piu che l’età non permetteua vigoroso si discoperse. Però staua la VIGILANZA nella 13. diuisione con veste bianca tenendo la destra sopra vna base, oue posaua vna testa di Leone, & appresso se li vedeua vna Grù, con Ia pietra fare le notturne sentinelle, e sotto si leggeua.
AGAMENNONIAS LAVDES VIGILANTIAE GLORIA ASSECTATVS TANTVM EXCELLVIT, QVANTVM QVAE ILLE SENEX PRONVNCIABAT,
ADOLESCENS ADNVC PRAESTITIT.
I Frutti della vigilanza sono cosi rari, che furono sempre con lodi grandissime celebrati. & veramente nascendo da questa sollecita cura vn sicuro modo di preuenire il tempo, ne segue, che il desideroso di gloria ha più larga comodità di tentare strade diuerse per maggiormente arricchirsene, Et si come l’humano ardire non s'è contentato di esperimentare quanto poteua nelle paterne contrade, ma quasi alterando le leggi della Natura, ha volsuto ricercare nelle terre da lui con tanto mare diuise nuoui mondi, e nuoui acquisti di gloria, cosi la generosità di questo Principe vigilando sopra à qualsiuoglia cosa, che le potesse arrecare onore, & inparticulare intorno à quelle imprese che per la nostra santa fede, & per la sicurezza di questi mari si vanno (mercè del valore di S.A. e della sacra Religione di S. Stefano (si gloriosamente facendo) professaua di non lasciar passar occasione, che a tal segno l’indirizzasse, & per ciò pendeva vn’impresa nel decimo quarto accomodamento, dell’appresso forma, nellaquale vedevasi vna Corona rostrata, pregio d’vn altro genere di Milizia, col motto.
NIL INTENTATVM.
PRopria virtù de gli huomini generosi, nati per comandare a gl’altri, è la PRVDENZA, che essendo parto dell’intelletto, è nondimeno regola d’ogni virtù morale: ella prepara quelle cose, che son atte alla felicità eleggendo, e reprouando i consigli, discernendo il buono dal reo con fagace cognizione, & esperienza. Ora essendo vna sicura, e certa ragione delle cose da farsi, non haurà dubbio di qual pondo ella sia, non solo in ogni operazione, ma nel’mestier dell’armi, oue il tutto consiste nel ben diliberare. Era cosi disposto l’ingegnio del Principe aquesta virtù, & con essa andaua ogni suo fatto cosi regoIatamente compartendo, che in paragone de suoi teneri anni, daua grandissima ammirazione, & si riconosceua in lui, come dono particulare di Dio, e perche nella Morte venisse considerata, appariua per la Prudenza nell’vItima figura, di quest ordine (come perfezione di si nobile schiera dico se) vna Donna con Elmo aurato in resta, e nelIa destra vno strale, auuoltatoui intorno vn serpente, & à pie di questa inscrizione se li vedeua.
DVCEM POPVLORVM SALVTI, ET PROVINCIARVM SPLENDORI QVASI COELO DEMISSVM PRVDENTIAE VIS ADOLESCENTI ADHVC PRAETER NATVRAE MOREM INGENITA TESTABATVR.
NON deue solamente la Prudenza in generale considerarsi, ma particularmente riconoscersi in ogni azione, con distinguere quel’che l’offizio, e’l tempo richiede. Perciò Bacco nel tornare trionfante degl’Indi, considerando quanto stesse bene la Prudenza particulare in qualsiuoglia cosa, auuolse d’Ellera quell’aste, che i suoi soldati portauano, acciò gl’offizij della pace nella guerra non si dimenticassero, ne tra la quiete i furori delle battaglie s’intromettessero, ma inogni stato fusse loro scorta la Prudenza, frenando l’ira, espressa nel Tyrso con l’Ellera simbolo di pace che ogni cosa lega, & abbraccia. Ora per fare apparire quanto S. E hauesse stimolo d’vnir la gloria, che si trae dalla Prudenza militare, con quella che seguita i negozij della Pace, e che egli nell’vno, e nell’altro studio sapeua, e poteua, esercitarsi; staua nell’vltimo luogo figurato vn Tyrso circondato d’Ellera simile all’ interpono disegno, col motto.
SEV PACEM, SEV BELLA GERAM.
DI queste cose mirauansi con mesta vaghezza adorne le due naui minori, e si contemplaua con pietoso dolore, che d’altrettanti, e più veri ornamenti dimostrossi fregiato l’animo di S. Eccellenza, e poi che non altro, che il grido, della sua fama, & il desidero ci auanza, non è piccola consolazione l’andarsi rammemorando ogni sua bella, & onorata qualità, onde per colmare gl’animi di compassioneuole tenerezza, e di lacrimoso contento, erano fra gl’archi, che per la naue maggiore si conducono ad aprirsi in Croce su le Cappelle principali, sospese X III. impronte di Medaglie, effigiate in bellissimi, e grandi aouati con d’intorni di morti, e piegature di panni in varie guise agruppati, e ricadenti, tramezzate d’altrettanti rouesci, o imprese, l’vna cosa con l’altra accopiandosi.
Pensiero fù d’esplicare in quest’ ordine, come essendo humangenere afflitto da alcune passioni non per elezione, ma per difetto della natura, comuni ad ogni huomo. Il Principe Don Francesco parte ne haueua con Ie sue rare prerogatiue fuggito viuendo, parte con la morte indietro à sè tralasciate; Non altrimenti a gloria de suoi Cesari Athene, e Roma, e qualunque altra Città, a cui l’onor del suo Principe fusse à cuore, si vidde fare; per che se Prouincie incatenate, Popoli soggetti, Vittorie felici, Armate sommerse, nelle medaglie già si stamparono, e qui con la prudenza in vita, e con la fortezza in morte, Passioni superate, Virtù seguite, Perigli sfuggiti, Pregij acquistati, à gloria di questo Principe si rimirauano.
E perche tra le miserie che nascendo s’incontrano, La prima vien ad essere quell’oscurità di mente, che niuna cosa intender ci lascia, erasi figurata nel serraglio dell’ arco primo, entrando per la detta naue del mezzo a man ritta, l’ IGNORANZA, i danni della quale ben con dificultà nel mondo si fuggono, ma non segue cosi, quando scarcerata l’anima da questa mortal’ prigione si conduce nella diuina essenza à rimirar il fonte d’ogni sapere. Onde per l’Ignoranza dimostrauasi vna Donna coronata di papauero con vn pesce appresso, e denotar voleua, che si come viuendo il Principe ei non le fù per grazia diuina giamai soggetto, ed oggi più che mai nell’aItra vita di lei trionfa, cosi temeraria mente s’ingannano quelli, che si pensono per loro medesimi trouar in questa vita la vera sapienza; questo concetto ampliandosi sotto l’altre figure, caminaua ordinatamente in questa maniera cioè che poi che il mondo era pieno d’ignoranza, e vanità perfetto, stabile, e felice era quegli, che sdebitatosi con la Natura, si condueua alla patria celeste, oue il Principe nostro, con l’hauere sfuggito ogni dannoso affetto, poteua gloriarsi d’essere lontano da ogni dolore, e perturbazione, diceuano adunque le prime parole.
SI QVIS SE EXISTIMAT SCIRE ALIQVID, NON DVM AGNOVIT QVO MODO OPORTEAT EVM SCIRE.
MAnca l’ingegno, suanisce l’humana sapienza nel mondo, e se pure dalle tenebre dell’ignoranza trouasi alcuno che nel’chiaro della virtù si conduca, o sia colpa del nostro affetto, o ch'indegni siamo dì goder lungamente vn simil bene, non si tosto egli ci si rappresenta, che da gli occhi ne pare inuolato. Chi non consideraua il Principe Don Francesco fiammeggiar nell’Alba de suoi natali, con isperanza di vederlo più chiaro di giorno in giorno, ma doue è ora la nostra credenza, ed aspettazione? solo per la sua parte il danno è felice, sendo che se pur è mancato, crederne gioua che a guisa della Stella Fosforo, che nell’Alba vien meno, egli da altri non ci sia stato tolto, che dalla soprauegniente luce della beatitudine eterna, onde con l’appresso impresa, che nell’secondo arco rappresentaua la detta Stella cedere à nuoui raggi del Sole, poteua dire, come ella faceua nel suo motto, di mancare ancora lui.
FVNERE FELICI. SE quanto è sotto il Cielo per sacra sentenza tutto è vanità, e se per trouar cosa di sicurezza, e bontà ripiena qui non fà bisogno l’affaticarsi; certo che solamente alle sublimi cose douiamo intredere; cosi fatto haueua il Principe adornandosi continuamente della virtù, disprezzando queste inorpellate apparenze. Perciò da vn Imagine pendente nell’arco terzo, che da gli omeri alati, e dallo strabocche vole affetto, con il quale si metteua inconsideratamente molte Corone in testa, si conosceua essere la VANITA, veniua disco perto, come non quegli, che la virtù posseggono, ma quegli oue non risplende il suo diuin raggio, sono da questo leggierissimo, e vano affetto predominati.
VANI SVNT OMNES HOMINES IN QVIBVS NON SVBEST SCIENTIA DEI.
ORA se doue è il merito della diuina grazia, il pregio della virtù giamai non isuanisce, anzi dalla morte acquista vita migliore, venne a proposito, che nel quarto arco si vedesse vn impresa d’vn Amaranto, della seguente figura, il qualle benche suelto dal natio suolo, pur che nell’acqua (come appatiua) sia posto, ripiglia più bello, e più viuace il suo primo colore il motto diceua
VIVET AB INTERITV.
SVccedeua a questa nell’arco quinto l’IMPERFEZIONE, che al rozzo parto dell’Orsa, e alle Rane scolpite nello scudo, pareua deno tasse, che qui viuendo niuna cosa à perfetto segnio si conduce, & che solamente l’anima dalle menbra disciolta, ma però eletta alla futura gloria, come indirizzata all’vnione del Corpo, che ha da risorgere immortale, è molto più nobile, e perfetta, che quando in questa massa di terra inuolta si troua
NVNC PERFECTVS ERIS ABSQVE MACVLA CVM DOMINO DEO TVO. SEguiua l’impresa nell’arco sesto, e per significare come i principij delle virtù in questo nobil suggetto erano altamente fondati, & che a maggior perfezione solleuati si sarebbono, se morte non le auesse impedito d’alzare più oltre il bello edifizio, scopriuasi, come è disegnato qui sotto, vn’incominciata gran fabbrica, dalla quale oltre i fondamenti profondi si vedeuano fuor della terra alcune gran cortine di mura imperfette, ma però ben si poteua considerare qual mole sarebbe stata, e molto più inquesto proposito seruiua, quello che già di se disse Ificrate, mentre da bassi principij della sua grandezza si gloriava, poi che non da humili, ma da grandissimi cominciamenti l’azioni del Principe furono ammirate, diceua adunque il motto.
QVIBVS AB INITIIS.
DOPPO questa appariua la caduca FELICITA mondana, che in breue tempo dal fasto, e dal le grandezze tramonta, perciò la Corona d’oro che aueua in testa, e le gemme che la fregiauano d’intorno, erano assomigliate alla Zucca & al Papauero, ch’ appresso se li scorgeuano, questo presto sfiorisce, l’altra non si tosto s’innalza, che dal suo verde languisce, e cade, & perche morendo à queste variabili ed incerte apparenze di bene, si nasce a piu sicura felicità, considerauasi il frutto dell’eterna vita nel motto.
NVNC LEVARE POTERIS
FACIEM TVAM, ET ERIS STABILIS ET NON
TIMEBIS.
DEstaua compassionevole affetto l’impresa che veniua nell’arco ottauo, perche à denotare il dolore, che s’è preso in vedendo nel’ fior de gl’anni perdersi cosi caro pregio, scopriuasi vna gran campagnia di grano, tutto abbatutto, e disperso da vna improuisa tempesta, e troppo si conosceua, che se quel’ ineuitabil caso non l’hauessi oppresso, haurebbe i primi semi con infinita misura multiplicati, e lacrimeuole era la perdita, non solo per il danno di cosa tanto necessaria all’vmana vita, ma perche l’acerbo colpo era seguito in quella stagione, in cui le speranze sono vniuersalmente maggiori, e però diceua il motto.
OMNIA DVM RIDENT.
L’infinito numero delle MISERIE vmane sotto vn imagine sola nell’arco nono si conosceua, mediante vna Donna con volto astenuato, e ponere vesti, sedente sopra vn fascio di Canne rotte, perche, vani essendo bene spesso i nostri pensieri, e bene spesso dal contrario auuenimento fracassati, ci conuiene sopra essi miseramente giacere, e trapassando dall’vna nell’altra suentura, come il fine d’vn ma le sia grado del’futuro, non possiamo dimenticarci di questi affanni, se non quando per mezzo deIla morte ci allontaniamo interamente da essi, perciò leggeuasi nella sua cartella. MISERIAE QVOQUE OBLIVISCERIS, ETQVASI AQVARVM, QVAE PRETERIERVNT NON RECORDABERIS Ben’auuenturata mutazione, e dimenticanza d’affanni è quella, che nella morte succcde, ma però doue grazia, merito, e valor si troua, quindi la terra infabbricandono vasi anch’ella si muta, ma fragile nondimeno si resta, e tali sono le vicende qua giù fra gl’huomini, ma iI prezioso Diamante, allora fà subito, e sicuro acquisto, che dal suo primo esser alloncanato riceue nuoua figura, onde vegghiamo, che dipoi senza abbacinarsi già mai lucido, e chiaro si riman sempre. Questo parue a proposito di rappresentare nell’impresa dell’arco X. però vedeuasi (conforme al seguente disegno) vn Diamante, a cui già tolte le imperfezioni della natura, vna più bella forma veniua data, per denotare ch’il passaggio del Principe da questa all’eterna vita, non era altro ch’accrescer immotabil pregio à cosa di merito, come esplicaua il motto.
MVTATA MELIOR VICE.
BENCHE la Speranza sia l’ancora della vita, & che sola si troui in quegli che niuna altra cosa posseggono accompagnandoli tal volta fino all’estremo è nondimeno vn fallace bene. Staua adunque nell’ archo vndecimo figurata la mondana SPERANZA, in vna giouinetta, che dalla nottola posatasele sopra il braccio, e dalle nugola, che nello Scudo teneua, manifestaua quanto voli nella tenebre chi s’aggira dietro à quelle Speranze, le quali come nugole, si creano, e come pioggia si disfanno, solo quegli è felice, che solcando il golfo di questa vita, ne troppo s’inalza, ne disperato si sommerge, ma in Dio considandosi sà fondarsi in quella speranza, che mai non vien meno.
FELIX QVI NON HABVIT ANIMI SVI TRISTITIAM, ET NON EXCIDIT A SPE SVA.
PVossi tal volta nel mondo non vanamente sperare, ed è quando col discorso della ragione si preuede quasi il desiderato successo delle cose, il chiaro tramontar del Sole argumenta sereno il vegnente giorno, e la vita ben trapassata, e segno in morte della futura gloria, e se gl’occhi del senso non veggono quello che l’intelletto comprende non è peron che l’effetto non segua, ò in alcuna parte si scemi, perciò benche da questa valle non ci sia lecito veder oggi nell’eterna vita il defunto Principe, diremo che à guisa del Sole ricoperto dalle nugole, e dipinto nell’Impresa del XII.
archo appresso figurata, egli nel Cielo si troua, e di lì non manca di giovarci ma da gl’occhi de mortali.
TANTVM NON CERNITVR.
DEGNA di grandissima compassione è veramente la fragile naturà humana, poiche debilitata di forze caminando per l’aspro deserto del mondo, non troua sasso ne sterpo, in cui percotendo non caschi, ò non vacilli almeno. Questa FRAGLITA, nell’archo decimoterzo rimirauasi in vna donna vecchia, e curua trattante con le mani i Diacciuoli dell’acque cadenti, e congelate, sostenendosi con vna debil canna : e perche non può rimediarsi tanta stanchezza se non doue il Cielo col suo valore sgombra l’animo dalle noiose cure, al Principe incamminatosi gia per si nobile strada diceua Il motto.
DIMITTE ABS TE MORTALES COGITATIONES,
ET EXVE TE IAM INFIRMAM NAIVRAM.
COSI nel Mare nasce, e viue il CoralIo debole, e scolorito senza molto pregio, ò vaghezza, ma quell’ora nell’aria è condotto, forte, colorito, e prezioso diuenta. Tanto vedeuasi nell’Impresa dell’archo decimoquarto à denotare che il Principe tratto di questa vita, nell’altra acquista maggior nobiltà, e può dire con l’istesso Corallo, che figurato fuor del mare in questa maniera appariua.
NVNC DECVS, ET PRETIVM. L’Anima prigioniera di queste membra terrene, legata a gl’organi diuersi del Corpo, con l’infirmità di quello moIte volte s’infieuolisce, ò s’addormenta, e questo bene spesso interuiene, oue non regna generosità di spiriti, ma ne magnanimi, e forti, non è dolore, ch’alla ragione predomini, e fino l’istessa morte costantemente è sofferta. Appariua adunque nell’archo decimoquinto L’INFIRMITA Donna macilente con vn Ceruo appresso, che ammazzando il Camaleonte per risanarsi, accennaua la sua misera condizione, dalla quale veniua oramai libero il Principe, & considerandosi, che se breue è la vita, men lunghi sono gl’affani, non era di picciol conforto il motto.
HOMO INFIRMVS, ET EXIGVI TEMPORIS LANGVORE PARITER, ET VITA CARET.
Non è dubbio che Ia rosa ristretta trà le spine parte delle sue bellezze nasconde, ma non è però ch’ella non si possa vantare, ch’a maggior grado di bellezza sormontata sarebbe, se rotta, ò spiccata non fosse. E perciò vna boccia di rosa inclinata sopra la Spina (come dimostra l’appresso intaglio) vedeuasi per l’impresa compagna della passata figura col motto.
IN APRICVM PROTVLISSET AETAS.
INDIZIO d’animo constante, è sempre voler l’istesso che già s’elesse, e il reprouar quello, che vna volta dispiacque, pure son cosi varij gli accidenti vmani che à viua forza ne fanno talora mutar consiglio, solo quegl’è libero da queste mutazioni, che nel porto dell’eternità si ricouera Gloriavasi adunque Il Principe d’hauer fuggito sempre, ed ora più con la cangiata vita, l’INCONSTANZA, apparente nell’archo XVII. riconosciuta per la Luna, e per il Granchio che gl’era appresso, e rendendone grazie a Dio, dal quale riconosceua l’aiuto diceua.
EGO CONSTANS ANIMO FACTVS SVM SECVNDVM OPITVLATIONEM DEI MEI.
MA non è già difetto di variabil pensiero, quando fiera necessità ne sforza, a tralasciar l’incominciate imprese come non è mancamento dell’Albero, che aperse i fiori, e poi da rabbioso vento gli furon fatti cadere il non allegarne gran copia, anzi l’essersi preparato à condurli, se Ii deue ascriuere à gloria però seguiua (Come qui sotto si rappresenta) vn beIlissimo Arancio, dal quale per colpa d’ vn improuiso turbine , cascauono i fiori, & il motto diceua.
SIT VOLVISSE SATIS.
NELL’archo decimonono rappresentauasi alata, o sopra vn Vitello sedente la CON VPISCENZA delettabile appetito del senso, che tanto al male, quanto al bene può inclinarsi, e per denotare come il Principe, con la purità della vita, e con il dominio di se medesimo hauesse schiuato il seguitarla in parte danneuole, cosi palesaua la fortezza di quell’anima.
NON ENIM IN ERROREM INDVXIT
CONCVPISCENTIA
L’Impresa che gli succedeua confermaua l’istesso, come più riccha spoglia nel trofeo delle sue glorie aIzar non potesse, che lasciar puro, & immaculato il suo Corpo, vedeuasi perciò vna candida pelle d’ vn’ morto Ermellino, che in cambio di lamentarsi della perduta vita, si gloriaua della conseruata bianchezza (conforme a che qui sotto si mira) col motto.
SERVATA SEPVLCRO.
IL piacere del senso, moro che l’anima inchina à cose illecite, e perniziose, con vna sola voce, fu chiamato VOLVPTA. questa nociua passione scorgeuasi nell’archo XXI. in forma di bella donna dentro vn giardino, fuor deI quale vedeuasi vno scosceso precipizio: da questa ingannatrice
Sirena, s’era difeso il nostro Principe viuendo, & allontanatosi morendo, si che bene sene poteua gloriare col motto.
QVONIAM PROHIBVI COR MEVM, QVIN OMNI VOLVPTATE FVERETVR
E ben facile che non si scontri ne priecipizij chi per nobile, & vsato sentiero cammina, come era auuenuto à S. E. che per natura, e per educazione riuolto a magnanime imprese non poteua se non solleuar se medesimo con l’ardore della virtù à camminare (come faceua) verso la gloria, & più oltre ancora si sarebbe condotto, se il vitale spirito più lungo tempo hauesse retto quello onorare membra, a guisa del Razzo, che soIleuasi con isplendore tanto s’inalza quanto l’interno fuoco lo sostenta, e questo (nell’appresso forma) era figurato per l’lmpresa dell’ archo vigesimo secondo col motto.
VIAM AFFECTABAT OLYMPO.
CONTINVAVA l’ordine nell'archo vigesimoterzo la MESTIZIA Donna vestita di nero, e coronata d’Appio, che superata nell’essersi incamminato il Principe alIe celesti Consolazioni, veniua anch’ ella adornare questo suo funeral trionfo, & inferiua il motto, che à quelli che muoiono come Sua Eccellenza.
NEQVE LVCTVS, NEQVE CLAMOR, NEQVE DOLOR ERIT VLTRA.
E Cosi lieta, e gioconda la vita de gl’eletri neI Cielo, che per capacitarne in parte l’intelligenza nostra fu detto, il giusto douere à guisa di Palma fiorire, non altro forse accennar volendo, che si come quell’albero daIl’aspro suo tronco sempre più aperto, e più ameno verso il Cielo inalzandosi non perde mai foglia, cosi i buoni, tra fatiche, e lodeuoli asprezze sollevandosi, & verso il Cielo dilatando i rami de loro pensieri non perderanno giammai la rammemoranza dell’opere loro. Però di simile schiera sperandosi questo Principe, à denotare che ben che dalla Morte atterrato, non auuerrà, che pur vna delle sue nobili azioni, doppo questa sua caduta, si perda: vedeuasi nell’arco 24. come appresso e disegnato, vna bella, e fresca Palma cadente, la quale per natural priuilegio, benche percossa, ò per molto tempo recisa sia, conserua sempre le sue foglie, & il motto, alludendo à simil comparazione del Real Profeta, diceua.
N0N PERITVRA CADET
E Veramente vn procelloso mare la quantità de gl’affetti, che perturbano l’animo nosto, & fa bisogno ch’alla naue del senso timoniera vigilantissima sia di continuo la ragione, perche troppi sono i pericoli che d’ogni intorno circondano l’huomo. Questa noiosa PERTVRBAZIONE dimostrauasi nell’archo vigesimo quinto, con faccia alterata, con veste varia, e con vn mare tempesto so dipinto in vno scudo, e come prigioniera di chi morendo, i insieme con tante altre passioni superata l’haueua, era constretta finalmente à confessare, che nell’eterna vita.
STALBVNT IVSTI IN MAGNA CONSTANTIA NON PERTIMENTES VLLAM PERTVRBATIONEM.
E Poi che nella Roccha del Cielo è la sola sicurezza, niuno di se medesimo quà già in terra s’insuperbisca, ne confidi nelle prosperità, e grandezze, ò nella prudenza dell’animo suo, perche nel mezzo delle felicità bene spesso s’ incontrono le suenture. Perciò chiudeua con bello ammaestramento l’ordinanza di queste cose l’Impresa d'vna Naue, ch’à vele piene (secondo che dimostraua l’imagine seguente) poco fuori del porto, per la tranquillltà del mare felicemente correndo veniua arrestata dal pesce Remora: Caso che non può senza compassione considerarsi nel Principe Don Francesco, del quale chi mai conmaggior prosperità di giouentù, e di grandezza, si mosse a gloriose imprese, e purè vero, che dall’inaspettato accidente della morte è stato impedito, e il motto diceua.
SI QVA FATA SINANT.
TALI erano gl’adornamenti fra gl’ archi pendenti, e con tanto più vigore stampauano i concetti loro, quanto si riconosceua, che l’inscritioni procodeuano da gli oracoli veraci delle sacre carte, e che ogni hieroglifo veniua dall’antiche, e merauigliose note d’Egitto, e sopra questi fra gli spigoli, che nasceuono fra archo, e archo, si vedeuono grandi aouati, ò scudi, vno con l’arme del Principe, e l’altro con la sua impresa del giglio alternatamente, e perche niuna parte mancasse di questa funebre vaghezza, riempieua lo spazioso fregio, che è frà la Cornice, el’archi raue, che sopra gl’archi, & le Cappelle circonda la Chiesa, vn componimento, o triglifo di gigli incrocicchiati, di teste, & ossature di morti. Su le basi poi delle Colonne, che per la Naue deI mezzo libere dal Catafalco rimaneuono, erano aIcune statue di braccia quattro, come di bronzo, le cinque rappresentavano le doti, & prerogatiue del Corpo, che concorrendo in quello del Principe, lamentauansi del riceuuto oltraggio, e del non hauer contro à si fiero colpo trouato scampo, ò difesa.
Quelle che alla prima coppia di Colonne s'appoggiauano, erano la SANITA, e la GRANDEZZA, L’vna conosciuta per che teneua in mano vn’ramo d’Oliua carico di frutti, & vno sciame di pecchie, L’altra per il Coccodrillo che le staua appresso, ambo ragguardeuoli, e possenti, ma non già contro à morte sicure, e però nelle basi di bellissimi marmi composte, e riquadrate, haueuano scritto.
SANVS DVM VIVIT, FELIX NIHILO TAMEN A MORTE TVITIOR.
PROCERVM CORPVS PVLCHRIVS QVIDEM NON DIVTVRNIVS.
COn aspetti vigorosi, e snelli si vedeua neI secondo luogo la FORZA, e l’AGlLlTA, quella teneua vno scudo, entro alquale era effigiato la testa, el’collo d’vn Toro, & questa à i piedi la Tippula animale agilissimo, & erano ben considerate per qualità che possono far comparire più viue l’operaz oni, ma vengono finalmente superate dalle tenebre della morte e però.
EAEDEM ROBORI, ATQVE IMBECILLITATI ADVERSVS MORTEM VIRES.
NIHIIL CORPORIS EXERCITATIO IN COLLVCTATIONE MORTIS.
PIV vaghe succedeuono à queste la BELLEZZA, da la GRAZIA (qual era posta qui come condimento, e perfezione de gl’altri beni) riconosciute l’ vna dalla Corona, e gioie, che gl’adoranuano la testa, e dallo sparger copia di fiori, l’ altra da i li gustri, e rose che nelle mani teneua, ma nel mezzo delle vaghezze addolorate si dimostrauano, e pareua dicessero, che vagliano i nostri pregi nell’ aringo di morte, oue il minio sotto oscuro pallore si nasconde, e la grazia da quegl’orrori, e saluatiche ze si fugge? pur nondimeno la Grazia si consolaua alquanto perche.
VIVENTI PRINCIPI AMOREM, MORTVO. LAVDEM CONCILIAT.
Ma l’altra rimaneua più grauemente offesa, perche.
FORMAE DONVM HOMINES NON MORTEM FLECTIT.
ALtre quattro statue alle colonne più vicine al Catafalco si appoggiauono. IL PRINCIPATO, e la CLEMENZA erano al pari, e cosi esplicauano gl’affetti loro.
REGIA DIGNITAS, QVAE HOMINIBVS IMPERAT MORTI PARET
MORS IPSA CLEMENTIAE FELICEM PRAEPARAT VITAM.
MA nell’vltimo luogo, appariva con aspetto graue, la FEDELTA, e con membra robuste, la FATICA, quella con vno Globo lucente in forma di specchio e questa con l’ali, e con i piedi della Giù nelle mani. Elle sono veramente fregi particulati d’ogni Principe, e perche l’opere loro son Iodeuoli in vita, & ammirate doppo la morte vn poco meno dolenti si dimostrauono, sendo che
FIDES AMICIS ET HOSTIBVS GRATA, POST MORTEM MEMORIA COLITVR.
LABORIS PRAEMIA MAGNA VIVENTI, EXTINCTO MAIORA.
Come trionfante imperatrice di si varie, e diuerse cose nel Coro, vltimo, e sourano luogo della Chiesa sotto vn balda chino, sedeua in maestà spauentosa, vna gran MORTE coronata, sotto Ia quale, perche si ristringeua qui tutto il circuito dell’inuenzione. già nella prima vista della Chiesa accennata, stauono confusamente sparse, Arme, Colossi, Corone, Scetri, e Diademe regali : Terribile prospettiua, ma altrettanto gioueuole oggetto che epilogaua tutti gl’ammaestramenti in quest’apparato riposti. E chi veggendo quell’orribil fiera con la gran falce inalzata, tutto compunto, e rimesso à se medesimo, & à gl’altri non hauria detto.
A che più vaneggiare ò figliuoli de gl’huomini, non vedete voi, che il tutto quà giù vien meno? ma oue non si fosse scoperto quest’affetto, parlaua vna grauissima inscrittione, pur dalle sacre carte raccolta, & nella gran base intagliata.
ECCE OMNIA SVBIECTA SVNT EI, OMNIA SVB PEDIBVS EIVS, HOC IVDICIVM, A DOMINO OMNI CARNI, QVONIAM FILIVS MORTIS EST VIR.
PReda più nobile della dispietata sua fierezza, à man destra nell’vna facciata del Choro, staua VIRTV d’aspetto virile, armata di Corazza, e lancia, con pelle di Leone, e Claua, e con il Globo del mondo in mano, che in atto quasi sdegnoso alla morte riuolta, piagneua non il suo venir meno, perche ella immortale si vive, ma l’offesa, che senza alcun riguardo in persona del Prencipe, le venia fatta, e sottomettendosele diceua.
ECCE TV DOMINARIS OMNIVM, IN
MANV TVA VIRTVS ET POTENTIA, IN MANV TVA MAGNITVDO, ET IMPERIVM
OMNIVM.
CON aspetto più lacrimeuole nella sinistra facciata, appatiua la GIOVENTV, dalle varie Corone di fiori, dal
Serpe che gettaua la vecchia spoglia, e dall’Aquila che vel fonte rinouaua le penne, ben conosciuta; Questa perche riuolgeua il pensiero d’ogni vno à considerar qual pena l’affligesse, constringeua seco à dolersi i riguardanti, e per destar maggiormente l’affetto, erano i suoi lamenti accolti in questa Cartella.
ECCE QVOMODO NON EST MISERTA ADOLESCENTI, EFFVDIT IN TERRA VISCERA MEA, VIAM FECIT SEMITAE IRAE SVAE, NON
PEPERCIT A MORTE, DESTRVXIT, ET NON PEPERCIT.
PRecedeuano à questo pur troppo doloroso trionfo (come spoglie minori situate nel d’intorno delle braccia della Croce, per adornare di cosa differente dall’altre l’otto Cappelle varie d’architettura) alcune cognizioni ch’abbelliscono grandemente l’animo d’vn Prencipe guerriero, & erano; la MATTEMATICA, la GEOMETRIA, il DISEGNO, e la COSMOGRAFIA, tramezzate da quattro Morti, che glì strumenti proprij d’esse Virtù, o l’opere loro disperatamente rompeuono.
Ora mentre queste cose veniuono à passo à passo considerate, & che ogni virtù, ogni speranza di futura gloria, col riscontro della ragione si ponderaua, erano gl’animi della gente cosi vinti dalla compassione, e dal dolore, che altro più non bisognaua
per disporgli à pregar la diuina bontà perla salute di quell’anima, e con tanto più feruore questo caritatiuo affetto risorgeua, quanto maggior comodità s’osseriua loro d’accompagnar le preghiere con l’orazioni de Sacerdoti, che nelle cappelle à ciò deputate offeriuono di continuo à Dio, per l’istesso fine il sommo de sacrifizij, & in Coro senza intermissione spargeuono con flebile melodia, voci d’Intercessioni, e di laude.
Intanto appresandosi l’ora, che il resto delle cose s'effettuasse, diedesi principio ad accendere la gran moltitudine de lumi che per il tempio erano variamente compartiti. Su le Cornici, che rigirano sopra le Cappelle, e sopra gl’archi la Chiesa, tanti ven' era, che aurate Corone più tosto sembrauono, i Capitelli delle Colonne, gl’Altari che rimaneuono scoperti tanti ne haueuono, quanti bastauono a farli credere vna bella adunanza di stelle, ad ogni Morte, ad ogni statua sopra vn gran torciere di marmo colorito, ardeva vna torcia, ma sopra ogn’altra luce risplendeua, con stupore de riguardanti il Catafalco. Questo fabbricata in mezzo alla piu larga Naue, vago per gl’ornamenti, e mirabile per la nouità, posaua in terra con pianta ottagona, & à guisa di fortissimo edifizio di diaspro granito con riqua drature, e cornice di porfido inalzandosi, apriva quattro spaziose porte in croce, si che per quelle, che seguitauono iI diritto della Chiesa, si vedeva tutto iI corso della Nauata, e l’altar maggiore: saliuasi sopra esso per quattro scale, che tondeggiauono gl’angoli della sopradetta figura, & erano accompagnate dalla parte di fuora, da vn balaustrato di marmo gial, lo, che ad ogni scaglione s’inalzaua, e seguitaua poi à circondare tutta la mole, se non in quanto per più vaghezza, e per lasciate più spedito corso alla vista nelle rette facciate, veniua à posta tralasciato, e solo seguitaua la cornice, ò dauanstrale. Salito le scale si trouaua vn piano, in mezzo al quale s’a priua vn aouato, come se la sommità del Pantheon immitar volesse, & questa ancora era circondato da balaustri, soprai i quali fermati quattro angoli, s’ergeuano quattro gran termini, ò simulacri di morte di rileuo, e di oro, che sporgendo il corpo auanti, e piegando la testa, reggeuono con essa vna gran tauola coperta di vna richissima coltre di tela d’ oro, e nero, con opera, e ricamo bellissimo, Posaua sopra à cosi riccoletto vn Feretro non meno adorno, che per disegno grazioso. Nel pauimento poi stauano in forma di Emiciclo quegli stessi huomini vestiti à bruno che già la Croce accompagnarono, sopra tutti i balaustri, e d’ogni intorno del palco ardeua grandissima quantità di lumi in candellieri d’argento: ma come vna gran fiamma che al Cielo vigorosa innalzi sembraua la Piramide, che sopra il Feretro tutta coperta di Fiaccole posaua con quattro mensoloni sopra la Cornice della quinta, e sesta coppia di Colonne, le quali, come che fossero parti essentiali della Chiesa, pareuono con tutto ciò proprie di questa macchina, in cima della quale spuntaua vn gran Giglio, Alluminati cosi gl’orrori del funesto apparato, comparse processionalmente il supremo Magistrato de Consiglieri, e dietro ad esso ogn’altro della Città, & accommodato ciascuno à luoghi già preparati, poco appresso entrò il Serenissimo Gran Duca da grandissimo numero di nobiltà, si di Corte, come di Vassalli accompagnato, e sopra il seggio suo, che di nero baldacchino si ricopriua, posatosi, con i Principi Don Carlo, Don Lorenzo, suoi fratelli, Don Giouanni, Don Antonio Medici, e Sig. Paol Giordano Orsino, incominciossi à celebrare con grandezza douuta à simil occasione la sacrosanta memoria della gran Cena & perche ogni parte corrispondesse alla magnificenza del tutto, trouandosi in quel tempo indisposto Monsignore Arciuescouo di Firenze, esercitò il sommo Sacerdotale offitio Monsignor Arciuescouo di Pisa, che dall’altra parte del Trono di S. A. risedcua, accompagnato da Vescoui di Volterra, di Pistoia, di Fiesole, e di Colle, assistendoli per ministri i Canonici del Duomo. Detto l’Euangelo, Baldouino di Monte, già Maiordomo di Sua Eccellenza fece la funerale Orazione, oue con facondia, e Decoro, e con esquisitezza di concetti, ramemorò ogni pregio del morto Principe, ilche finito, si riprese il diuino offizio, e questo ancora terminato, s’inuiò Monsignor Arciuescouo, con gl’altri Vescoui an far le sacre funtioni intorno al Feretro, e quello secondo il costume con preci, e sacre cerimonie da tutti loro assoluto, venne spedita la pompa funerale, e partendosi S. A. ogni altro ancora si ritirò: ma non già si ritirò l’affetto, e la deuozione de popoli perche tutto il giorno, e molti altri appresso infinita gente ha visitato quel Tempio, non solo per considerare la maestà dell’ apparato, ma per grata dimostrazione d’amore verso di quegli, che per viuere eternamente hà possuto più, che nella tomba, seppelirsi ne cuori altrui.
Tanto conueniuasi veramente à Principe amatissimo, & poiche in tal maniera sono state qua giù celebrare le sue grandezze, creder ne gioua, che il medesimo segua nel Cielo, Che gli amici di Dio sono pur troppo da lui onorati. E poiche l’essequie sono cerimonie di Santa Chiesa, segno di Religione, & argomento de meriti del Defunto, come cosa per tante parti lodeuole, e grata, queste si celebrarono: Et perche ne godino quegli ancora che non vi interuennero, fu ordinato se ne facesse la Descrizione, laquale le non arriua à spiegar la Magnificenza, e Splendidezza della Religiosa pompa, potrà forse, come l’ombra d’vn piccol ferro dimostra l’altezza del Sole, accennare almeno la pietà, e la grandezza dell’animo di queste SS. AA. e la gloria, e l’onore, che à Dio principalmente rendere si deue, per hauerne con l’esempio di tanto buon Principe dimostrato, come gloriosamente si viua, e christianamente si muoia, e ch’il tutto depende dal suo Santo volere, vnico, vero, e giustissimo arbitro, della vita, e della Morte.
†
IL FINE.
COncediamo licenzià al M Reu. Signor Paolo Paolì Canonico Fiorentino di riuedere la premessa Descrizione d’esequie, & considerare se nell’opera si troui cosa, che fussi contro la pietà Christiana, o li buoni costumi, & referisca in pie di qnesta 13. Luglio 1614.
Piero Nicolini Vicario di Firenza.
HAuendo Letta, e considerata la presente descrizione, non ho trouato cosa, che sia contro la pietà Christiana, e buoni costumi, & per cio ne fò fede di mano propria questo di 24. de Luglio 1614.
Paolo Paoli Canonico Fiorentino.
ATesa la premessa relatione, concediamo, che la soprascritta descrizione d’Esequie si possa stampare in Firenze, osseruati gl’ ordini soliti, 24. di Luglio 1614.
Piero Niccolini Vicario de Firenze.
Al P. Reggente di S. Spirito, che riuegga per il santo Offizio, di Firenze 25. Luglio 1614.
Fr. Cornelio Inquisitore di Firenze.
EX mandato Reuerendissimi Patris Inquisitoris Generalis Ciuitatis Florentiæ, Ego Fr. Gaspar Pagnius Romanus Augustiniani instituti professor, & in conuentu S. Spiritus de Florentia Magister Regeus, retroscripta funeralia in Exequijs Eccl. D. Francisci de Medicis celebrata, studiose recognoui, nec in eis quiequam offendi ab ottodoxa fide, aut morum regula dissentaneum, & propterea non solum approbatione vt typis mandentur, sed precipua commendatione pluribus titulis diguissima censeo, Datum in Conuentu sancti Spiritus de Florentia die 25. mensi Iulij. 1614.
Ego Fr. Gaspar Pagnius Romanus qui sup:
Fr: Cornelio Inquisitore di Firenze 26. Luglio 1514.
Stampisi secondo gl’ordini, questo dì 26. di Luglio 1614.
Niccolo dell’Antella